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评论贺丹/马可·斯科蒂尼(Marco Scotini)

发布时间:2019-08-06

文:马可·斯科蒂尼(Marco Scotini)

翻译:印帅

画作

不记得具体是2017年10月的哪一天,当我第一次短暂达到西安,也或是2018年2月,在西安逗留多日之时。一天晚餐后,贺丹邀请我们三五友人去他的工作室,饮茶一叙。席间我们谈到了中国当代艺术体系,陕西的风土人情以及记忆档案的形式。在工作室各式收藏之中,有两样物品吸引了我的注意,其中一样是在书架前的工作台之上,星丛一般的模型飞机:一战期间的双翼飞机,歼击轰炸机,一架超级空客A380,波音系列飞机等等。这些模型从天花板上悬挂下来,高高低低地围绕着一个代表地球的气球,悬浮在空中;另一样则是在书房的另一侧,一张贺丹当时正在创作的绘画作品。画面中人物重叠拥挤似乎快要溢出画布,戏剧感与亲切感并存。贺丹运用了“微缩式”处理方法描绘出不可估量的人群,但他仍然尝试将这种“微缩”无限扩展,直至一幅无数人民欢愉的市井生活景象浮现在我们眼前。 三个孩童站在一侧,另一个孩童全力跑向他们,骑摩托的青年正跨下车坐,一位回族老者坐在三轮车中,妇女将襁褓中的婴儿抱在怀中,年轻人们围在一起,相互交谈,聆听。贺丹用“微缩”的技巧,将整个街道繁复的景象,展示给我们。

贺丹画作中强烈的戏剧感更来自于:他仅仅绘制完成了整个画面的一侧,另一侧依然保留着待完成的线稿。这一种未完成甚至不可预计的状态,也将画布与笔触的原始状态一同展现了出来。如同灯光师只将舞台上人群的一角照亮,创造出一种特殊的瞬时性(制造了位于下一个动作之间的时间差),避免了动作与叙事的共时与重复。这种未经预设,自发的表现方式似乎都可以在贺丹的作品中依稀寻找到痕迹。人生或许无法将已完成的草稿推翻重来,而我们却可以在一幅“世界的画作”中,不断变换地点与时间,进行尝试。这种尝试我们也可以依稀在贺丹的诸多画作中感知到,但我们的问题依然没有得到解答,到底什么不可见却强有力的要素将这些形象紧密连接?显然这并非是莫兰迪一般地使用色调调和至均匀(与我而言那是西方绘画的方式)。艺术家是如何通过或物理或时空将其揉和在一起的?又是什么样的集会使得人群聚集在了街上、广场上,或者其他空间之中?将人物形象一个又一个连接在一起的魔力是什么?又到底为什么这些人会同时参加一个集会?

这个问题在贺丹的绘画语言中如此的重要,却时常被忽视,如同电影镜头之外摄影机未曾捕捉的画面一般,每一次都在焦点之外。也正因如此,对观众而言,或许每一次都可以体会和了解到画面中聚集人群的统一形式或是他们的相同命运。但似乎从未追问,这些瞬时的集合或者画面多样组合的理由是什么,是怎样偶然的机会让人们聚集在一起?

我们并不能用齐格弗里德·克拉考尔(德国电影理论家,1889-1966)在上世纪三十年代所描绘的“大众装饰”(齐格弗里德·克拉考尔于1927年出版同名文集)的理论来解答:没有任何几何学或对称性的预设或导向,大众汇集于此并且富有规则。然而在贺丹的作品中,没有大众,只有人群:俯视的视角,尽管从上往下没有精确的距离,画作却纵深却通过全景式的描绘得以拓展。那天深夜,当我们离开贺丹工作室的时候,我思考着,或许画作另一侧,那些高高低低悬挂的模型飞机才是最佳的观众。这一场人头攒动却毫无戒备的集会,完全落入各式飞机控制之中,威胁者与观看者并存。富有戏剧张力的迷幻与市井尽数展现在那张完美的未完成作品之中,一年过去了,我始终记得这件作品,却也一直记不得它的名字。

人民

民俗性与田野性始终蕴含在贺丹的绘画逻辑之中,不仅表现在其绘画描绘的对象中(通过类型与仪式的语言),也表现在艺术家诚挚的语言。陕西农民自发的庆祝场面的背后,贺丹揉和了苏联社会主义现实主义绘画启蒙,老彼得·勃鲁盖尔创作潜移默化影响,以及西方现代主义绘画身临其境的感知,这与他曾长期留学生活在巴黎密切相关。 西安让我印象深刻的,不仅是街上豪爽喜气洋洋的人们,更有那无穷无尽的黄土高原,以及那影响启发了二十世纪三十年代至今无数的中国艺术家的西北风貌;西安周边的户县农民画同样也让我觉得震撼,农民作为绘画的主体,通过真实的笔触描绘身边的历史与周遭事物。这些对于西安,乃至西北的印象,反复于我的脑海中,也成为了我理解贺丹创作的切入点,尽管他曾远离家乡,学习生活,但我想在他的内心,他未曾离开这片他出生、成长的土地,相反地,他成为了这片土地上专注谨慎,认真虔诚的观察者,而在人群中隐藏着的贺丹自画像,也提醒着我们,艺术家从未置身于这土地之外。

上世纪八十年代末,九十年代初,中国迈入了历史和经济的巨大转型期,贺丹也因此曾一度放缓了他的创作,然而也正是在这个时期,贺丹逐渐从学习老彼得·勃鲁盖尔绘制的十六世纪佛兰芒农民,转向了对陕西二十世纪农民生活的描绘,从而展现了一个看似自治的、与时代格格不入的、或许随时会消失的生活景象。中国在近四十年内完成了可能需要十倍时间才能完成的转变。而贺丹的绘画中,也并非简单的完成这个转变,而是尝试使之与过往相交,与当下相遇,历史成为了当下的时间。艺术家改变其描绘的主体(或者可以说幽默的),并且准确找到了拥挤的人群来表达他的创作逻辑、关系、规则、仪式。《葬礼》(1994)、《乡村集会》(1995)或者《驴市》(1996)这些作品中,我们可以看到人群总是出现在与仪式和集会密切相关的场所。然而《回忆》(2000)画面中展示出的向心力从何而来?相对地,《大树》(2001)中使得人们向外奔散的离心力又指什么?《红旗》(2009)中肩并肩的人民又从何处而来,将前往何处?《离乡》(2006)中是怎样的危险才让年轻人与老人四处逃散?《人群 II》(2004)中那不可计数的人群汇聚在一望无边的沙丘之上又做何解释?对于中国这样一个拥有十四亿人口的国家,描绘集体比描绘个体更合情合理,这一点或许并不难理解。然而对贺丹而已,人群是如何定义及表现,却是变得非常重要。

有位作家曾挑选了十个可以描绘中国的词汇,“人民”成为了首选。这个词语对于传统中国语境是如此熟悉,却为当代社会而感到陌生。在这个意义上来说,人民,不仅是合理的首选词汇,同时更像一个遗失的词汇。这种遗失并非语法上的丢失,而是当今中国语义中的缺失。我们观看贺丹的画作,很难不注意到作品中所带有的某种无场域化属性:我们所熟悉的、或拥挤、或聚集在一起的人群,不再整齐划一地朝着他们的家,村庄等等某个特定的地点而集中——否则很难理解为何这些人群不停地绕着中心四处空跑。人群在画布或左或右排列成圆弧状,时散时聚,或将画面撑满或留下空白,或多或少地汇集,始终维持着或多或少的动态平衡。同样地,作为背景的黄土高原,或被描绘成黄色,或被描绘成褐色,时而写实,时而超现实,与人群一同变动着,让我们难以分辨,究竟画面中的人民是喜是惧,是充满了威胁或是充满了希望。

中国近几十年全力高速的经济发展,或许何难避免社会快速转变带来的不适,与传统社会文化资源的丢失。

贺丹2008年的一张画作中:由无数的微小主体组成的人群将画面一侧填满,相互之间未留下空间。画面上方一架四发动机的波音客机正好位于前方对称的位置,机翼完全打开延展至画布两端。我们不知道画面里的人群是刚刚走下飞机,又或者是正准备登机。原本应表现飞行动感的飞机,此刻却只像一块难以挪动的磐石。或许,那晚贺丹工作室中的模型飞机,也尝试着在游戏中解构历史,这是一种重获时间、重构时间的渴望。

2019年8月 6日

Una visita a He Dan 

quadro

Non ricordo se sia accaduto in ottobre del 2017, in occasione della mia prima visita a Xi’an , o nel febbraio del 2018, quando la mia permanenza in città è stata più lunga. Assieme ad alcuni amici, dopo un’ottima cena, siamo saliti a visitare lo studio di He Dan intrattenendoci, con il tè, in lunghe conversazioni: sul sistema dell’arte in Cina, sul contesto culturale dello Shaanxi, sulle forme della memoria. Due cose, tra le moltissime altre che occupavano lo studio, attirarono la mia attenzione. Sopra la scrivania - e di fronte alla libreria - una costellazione di modellini in scala di aeroplani storici pendevano dal soffitto: biplani del tempo della prima guerra mondiale, cacciabombardieri, un Airbus A 380 (il super jumbo europeo non più in produzione), boeing di linea e altri aeromobili. Appesi con dei fili, a differenti altezze, i velivoli creavano delle orbite attorno a un pallone gonfiabile che rappresentava il globo terrestre. Di fronte a questa costellazione galleggiante sul vuoto, nell’altro lato della stanza, campeggiava un quadro di grande formato che He Dan non aveva ancora terminato. Affollata di figure umane fino alla saturazione del campo della tela, l’immagine assumeva un’aria teatrale e domestica allo stesso tempo. Anche qui un identico processo di “miniaturizzazione” riduceva una folla anonima e incontenibile, che avrebbe potuto dilatarsi all’infinito, ad un frammento spazio-temporale conviviale e proliferante di comparse umane festose sotto il nostro sguardo. Tre bambine per mano, un altro bambino che corre verso di loro, un motociclista appena sceso dalla moto, un vecchio Hui in carrozzella, una donna con in braccio un bambino, giovani uomini ovunque, raccolti in crocchio a parlare, ascoltare, curiosare. Tutto quell’universo della strada di cui He Dan non fa altro che presentarci la miniatura.

L’aspetto teatrale del quadro derivava dal fatto che He Dan aveva dipinto soltanto la parte destra dell’opera, lasciando tutto il resto ancora allo stato di disegno: in una consistenza larvale e virtuale che faceva emergere il fondo marrone della tela assieme alla traccia delle figure. Come se un proiettore teatrale avesse voluto illuminare e mettere a fuoco esclusivamente una parte della folla, dando una temporalità specifica (nella creazione di una successione di atti concreti) a ciò che altrimenti sarebbe stato simultaneo e compresente. Questo aspetto involontario (e non premeditato) rendeva più dichiaratamente esplicito ciò che in tutte le altre tele di He Dan rimane comunque implicito, meno evidente. Il fatto, cioè, che non abbiamo mai a che fare con un “bozzetto di vita” (per quanto esso possa essere completo) ma con un “quadro del mondo”, in cui quello che si vede può sempre ripetersi in luoghi e in tempi diversi. La domanda che, però, rimaneva insoluta era, anche qui, la stessa che possiamo porci di fronte a tutti i quadri di He Dan. Qual’ è il collante invisibile che tiene insieme tutte queste figure? Non solo quelle che emergono chiare da una tavolozza tonale come quella di Giorgio Morandi (per me che sono occidentale) ma queste figure a tutte le altre (appena tracciate) che occupano il campo della tela? Quale è il vincolo plastico e spaziale che le tiene assieme? Qual è l’evento che le fa convergere, che le fa raccogliere nella strada o nella piazza, o in qualunque altro luogo? Qual è il legame magico che lega una figura all’altra, e queste a tutte le altre? Quale è la ragione che le fa precipitare assieme e partecipare allo stesso evento?

Questo elemento, così importante nell’attività pittorica di He Dan, è tale da sfuggirci sempre, come un fuori-campo cinematografico che la camera filmica lasci, ogni volta, esterno al bordo dell’immagine. Un motivo che rimane enigmatico e ignoto allo spettatore che, come tale, può sempre e solo riconoscere (ratificare) queste presenze associate, la loro unità materiale o il comune destino a cui sono sottoposte. Ma mai la ragione che le associa temporalmente o che le compone in configurazioni organiche e aperte, variabili e precarie. Qual è l’occasione che fa sorgere l’evento a cui tutte partecipano?

Siamo qui lontani dall’idea di “massa come ornamento” descritta da Siegfried Krakauer negli anni Trenta del Novecento: nessuna geometria o simmetria le pre-determina o le dirige come una massa freddamente coesa e ben orchestrata. Non c’è alcuna massa ma solo folla: qualcosa che continua a richiedere, però, uno sguardo dall’alto, elevato in altezza ma imprecisato nella distanza, tale comunque da consentire di abbracciare con la vista la grande estensione in profondità del quadro. Ho pensato, uscendo a sera tarda dallo studio, che gli aeroplani di fronte al quadro fossero come una sorta di ideali spettatori. Possibili minacce e osservatori, allo stesso tempo, di un rituale brulicante e indifeso che si compiva sotto il loro sguardo dominante. Di quella commedia enigmatica e popolare che era messa in scena da quello stesso quadro (davvero straordinario nel suo non-finito), di cui dopo più di un anno continuo a ignorare il titolo. 

popolo

Il carattere popolare e agreste che connota l’intera opera di He Dan ha matrici multiple. Non è solo l’oggetto della sua pittura (con lo studio dei tipi e dei riti che essa ritrae) ma anche il soggetto o il linguaggio che lo esprime (e dunque fedele a ciò che viene rappresentato). Lontano però dall’essere una celebrazione dello spontaneismo, tale linguaggio ha varie stratificazioni: dall’originario apprendimento del realismo socialista sovietico, al ricorso a Bruegel il Vecchio fino alla conoscenza diretta della pittura modernista occidentale, attraverso il viaggio e la permanenza di He Dan a Parigi. Delle mie visite a Xi’an ricordo non soltanto il bazar brulicante di persone, l’enorme altopiano del Loess e il peculiare paesaggio del Nord Ovest cinese che tanto ha ispirato i pittori del ventesimo secolo, dagli anni Trenta in poi, provenienti da vari angoli della Cina. Ricordo anche la straordinaria visita al museo dei pittori contadini di Huxian, la forza espressiva e l’energia realistica di quella pittura che aveva come proprio oggetto la storia quotidiana dei contadini della regione, rappresentata in prima persona e in presa diretta. Ecco che tutto questo non può che tornarmi alla mente come un basso continuo su cui misurare il linguaggio di He Dan che, nonostante i suoi spostamenti, pare non essersi mai mosso da quel luogo, in cui è nato e di cui rappresenta il testimone attento e devoto, non esterno ma partecipe (il suo autoritratto in mezzo alla folla ne è un segno). Se dopo gli anni ’90 una discontinuità c’è stata nel suo lavoro, questa non è tanto imputabile a lui quanto alle impressionanti trasformazioni storiche della Cina.

Ecco che quando, tra la fine degli anni ’80 e la metà dei ’90, He Dan traspone i contadini fiamminghi del Sedicesimo secolo, dipinti da Bruegel il Vecchio, nei contadini dello Shaanxi del Ventesimo secolo, non fa altro che restituire visibilità o dare spazio ad un mondo anacronistico che sopravvive come un microcosmo autonomo, in attesa di essere spazzato via dagli eventi. Sconvolgimenti che in quarant’anni faranno vivere alla Cina quello che essa avrebbe dovuto vedere in quattrocento anni. Non c’è in questa pittura alcuna ingenuità perché He Dan, facendo coincidere qualcosa di anteriore (la pittura fiamminga di Bruegel) o un “non-ora” con l’”adesso” (il presente cioè), ha chiara la propria storicità, il tempo in cui vive. Nonostante l’artista ricorra ad un processo di deformazione (anche umoristico) dei suoi soggetti, sa che l’universo affollato di questo microcosmo funziona con le sue regole, le sue relazioni, i suoi riti (invernali e estivi), le sue festività. In opere quali “Burial” (1994), “Country Fair” (1995) o “Donkey Market”(1990) vediamo che la folla è vincolata alla propria mansione, che ciascun soggetto è vincolato all’altro, che ogni rituale è connesso ad un contesto architettonico, ad un paesaggio. Ma, nonostante ci sembri di riconoscervi gli stessi contadini di prima, qual è la forza centripeta che fa sì che in “Memory” (2000) da tutte le latitudini, molte figure convergano in un centro ideale? Quale è la forza centrifuga - al contrario - che fa scappare in diverse direzioni la folla in “Big Tree” (2001)? Da dove e verso dove muove la compagine schierata di “Red Flag” (2009)? Da quale pericolo scappano le figure (giovani e vecchi) alzando la sabbia lungo la scarpata di un colle in “Uscita di casa” (2006)? Che cosa mai significherà ne “La folla II” (2004) quell’incontenibile ammasso di gente, convenuta in una sorta di lido sabbioso che si estende a perdita d’occhio? Non sorprende che in una realtà come la Cina che conta un miliardo e quattrocento milioni di abitanti, le rappresentazioni della folla siano più appropriate di quelle del singolo individuo, del soggetto isolato. Molto più interessante è però come la figura del “popolo” venga visualizzata nell’importante opera recente di He Dan: sotto quali caratteri essa si mostri, in rapporto a che cosa riesca a definirsi.

C’è chi ha scritto che tra le dieci parole chiave che possono connotare il pianeta Cina, il termine “popolo” sta al primo posto. Una parola talmente familiare ai cinesi del passato da diventare estranea, sconosciuta nella realtà (così trasformata) di oggi. Starebbe al primo posto dunque come una parola perduta: piuttosto come una parola che manca, tanto importante nella sua storia per averne smarrito il significato nella Cina di oggi. Se, di fatto, guardiamo le grandi tele di He Dan non possiamo non notare un certo spaesamento. Quello che tutti vi riconosceremmo immediatamente come popolo - quale insieme o cumulo di persone fisiche che condividono valori, credenze e identità di gruppo - non è più collegato a una direzione di guida o a un territorio che ne rappresenti la sua casa o il suo ambiente. Non si capisce altrimenti perché i movimenti di questi gruppi umani finiscano sempre per girare a vuoto, in un continuo e vano mulinare attorno a un centro. Si divaricano, si condensano, si dispongono in cerchi concentrici, sono attratti a destra o a sinistra della tela, la sovrastano toccandone il margine superiore o quello inferiore, si rarefanno e si addensano in mucchi isolati, con un continuo senso di coesione e dispersione simultanea. Gli stessi fondi gialli, o giallo-marrone, che rimandano ancora al paesaggio dell’Altipiano del Loess, si sono trasformati in spazi infiniti, surreali, incommensurabili alle scale della folla. Non sappiamo se a fungere da polo d’attrazione o di repulsione sia una minaccia piuttosto che una promessa.

I veloci mutamenti tecnologici ed economici della Cina odierna sono stati forse troppo veloci per non risultare sconvolgenti in tutti i campi, oppure forse il retaggio sociale del passato è stato qui troppo forte (più forte che altrove) per non doverne sentire lo smarrimento.

In una tela del 2008, una folla di soggetti infinitesimali occupa l’intera metà del campo dell’immagine, senza lasciare spazio tra le figure. Al di sopra un enorme Boeing quadrimotore, in una ripresa perfettamente frontale e simmetrica, dispiega le sue ali per tutta la larghezza della tela. Non sappiamo se le migliaia di figure al di sotto siano scese o debbano ancora salire a bordo. Di fatto questa macchina gigantesca li sovrasta come un macigno irremovibile, mentre dovrebbe rappresentare la promessa di volare. Forse, allora, la costellazione di velivoli in scala vista nello studio di He Dan quella sera, non era altro che un tentativo di liberare la storia nella sfera del gioco – una volontà di riprendere in mano, di reimpossessarsi del tempo, della sua plasticità.

Marco Scotini